“Questo è un posto dove vivere è impossibile” così esordisce Numa Turcatti quando capisce dove si trova.
Il nuovo film di J.A Bayona “La società della neve”, uscito di recente sulla piattaforma Netlix e candidato agli Oscar 2024, arriva dritto al cuore, e soprattutto allo stomaco degli spettatori.
Racconta il disastro aereo avvenuto nel 1972 sulle Ande.
Il ghiacciaio, rinominato in seguito “Valle delle Lacrime”, fu il luogo, a più di 3500 metri di altezza, dove un gruppo di giocatori di rugby dell’Uruguay, insieme ad alcuni amici e familiari, dovette lottare per la vita per ben 72 giorni.
Una storia singolare, che già al tempo sconvolse l’opinione pubblica per le modalità in cui i giovani riuscirono a salvarsi. Nutrirsi dei corpi dei compagni deceduti fu infatti la scelta di alcuni di loro per sopravvivere. Fu una decisione difficile sul piano morale, psicologico, fisiologico. Si tratta di infrangere un tabù tra i più sacri. Alcuni, infatti, preferirono lasciarsi morire.
“Ho il diritto di fare tutto quello che posso per sopravvivere?”, “Chi eravamo sulle montagne?”.
Questi e altri interrogativi esistenziali ci portano a riflettere sull’importanza della regolazione delle emozioni nelle situazioni di emergenza e sul senso di nullità dell’essere umano in quanto singolo.
Le relazioni, la solidarietà, la capacità di organizzarsi e di prendere decisioni difficili che possono andare anche contro la morale, a volte può fare la differenza.
Giulia Davanzante